giovedì 5 novembre 2009

Un uomo sgradevole. Racconto in tre atti di Luigi Grimaldi




ATTO PRIMO: L'ILLUSIONE

Ci sono giorni d’autunno in cui il sole scalda ancora e ricorda il bagliore dell’estate tanto da rendere invisibile quel velo di malinconia che accompagna la stagione. E poi ci sono ancora piccoli locali lungo il fiume in cui si può mangiare sotto gli alberi. Un piccolo privilegio che fa sparire la città, le auto, il rumore e, per quanto mi riguarda, il mondo. Anna come sempre mi sembra bellissima e come sempre sorride felice della vita, del sole, delle tagliatelle. Acqua, vino, una cameriera scontrosa. L’occasione per ridere. Se esistono giorni speciali questo è un giorno speciale. Avrei voluto portarla a cena nella zona vecchia della città. Una vera cena, magari pesce, chardonnay ghiacciato, candele e un salasso. Le bollette possono aspettare. Ma lei per la serata non può liberarsi e io non posso più aspettare. E così eccoci qui con il sole e le tagliatelle nell’intervallo del pranzo. Ci ho pensato tanto.
Anna mi piace da morire. A volte lei è talmente consapevole dell’intenzione e dell’intensità del mio sguardo da costringersi a distoglierlo. E’ bellissima quando accompagna quella piccola frattura con un gesto elegante, spostando i capelli con la mano, piegando la testa di lato, e mostrando il collo, nel girarsi verso lo schermo del computer, cosciente dell’effetto. Ho ancora negli occhi ogni gesto di Anna, i sorrisi, gli sguardi di intesa, quel suo modo di fissarmi di sottecchi dopo essersi stiracchiata spingendo in avanti il seno quando entravo senza un vero motivo nel suo ufficio. Quel suo modo così leggero di sedersi, di camminare, di attorcigliarsi i capelli, con quei ricci disordinati che la fanno sembrare un cucciolo di barboncino. Ma è tutto difficile. Il fatto di essere colleghi e con tanti anni di differenza rende tutta la faccenda assai complicata, spinosa. Di sicuro Anna si è accorta del mio interesse, del mio sguardo che non riesce a fissare altro che lei quando siamo nella stessa stanza e del fatto che le giro sempre attorno, che cerco di farla ridere in continuazione per alleggerirle la giornata, di proteggerla da quel cerbero del capo, di coprirla fino al punto che il cerbero ha protestato. E’ stato uno scontro epico. A me non piace avere torto, e sapevo di averlo. Nel caso di Anna avevo lasciato che i miei sentimenti, la mia “preferenza”, avessero la meglio sulla mia serenità di giudizio, ma sentirmi rimproverare per aver soprannominato Anna “la principessina” era più di quanto potessi tollerare e così avevo spinto lo scontro fino al punto di rottura, alle dimissioni, mettendo in campo tutto il mio peso in redazione rivendicando la mia autonomia nella gestione dei rapporti col personale, costringendo il capo ad una capitolazione. Non è stata una vittoria, so bene che prima o poi me la farà pagare cara: gli ho fornito una bella leva per ricattarmi. Già, Anna è un problema serio. Sono abbastanza esperto da sapere che in piccoli e affiatati gruppi di lavoro un atteggiamento come il mio provoca sempre serie e devastanti conseguenze. Ma in fondo me ne infischio. Per me ormai le priorità sono altre, ho deciso. Ho bisogno di quel sorriso, di quegli occhi per sentirmi bene. Negli ultimi mesi ho dovuto constatare che la presenza di Anna mi rende la vita piacevole, mi mette in quella fortunata condizione di andare a dormire la sera sempre più presto, nonostante sia sempre stato un nottambulo, per accorciare l’attesa di poterla vedere ancora. Ma starle vicino così, da collega/amico è una tortura. Non l’ho mai nemmeno sfiorata. Dio se l’avessi incontrata prima, altrove, magari in un’altra vita, tutto sarebbe stato diverso. Invece di parlare tanto, e di fare il pagliaccio per compiacerla, l’avrei baciata prendendole le mani e le avrei detto solo due parole, sussurrandole all’orecchio: “ mi fai morire”. Certo in ufficio non è possibile avvicinarsi a più di mezzo metro ma anche a quella distanza l’effetto è quello di una ubriacatura. Mi preparo a sottoporla a un bombardamento emotivo mentre so che avrei bisogno di più tempo, di darle un pò di respiro. Purtroppo però la cosa è talmente evidente che gli altri non hanno saputo resistere alla tentazione di qualche battutina velenosa. Persino il capo, sempre distaccato e educatissimo, qualche giorno fa, rivolgendosi al gruppo di colleghi, ma guardando dritto negli occhi Anna, aveva sentenziato: “ Certo che avete il merito di aver ringiovanito Luca di almeno vent’anni”. Insomma la mia attrazione per Anna è ormai di dominio pubblico al punto da non poter più rimanere in sospeso. E allora eccoci qua, Anna e Luca, finalmente soli, nell’ultimo sole d’Autunno, davanti alle tagliatelle. “ Tu mi piaci molto. Talmente tanto che la cosa sta diventando un problema”. Se quella non era una dichiarazione in piena regola poco ci mancava. “ A dire la verità sono anche abbastanza preso”. Ok, meglio evitare malintesi e mettere le carte in tavola. A volte bisognerebbe essere più prudenti. Ora che mi è scappata questa frase banale e ridicola “Sono anche abbastanza preso”, vorrei dirle:” piccola, puoi tradurla con: Ho perso completamente la testa per te e sto rischiando il mio lavoro e la mia dignità per i tuoi begli occhioni”. Mi mordo la lingua ma ormai la frittata è fatta. Certo la cosa non è, né in un caso né nell’altro, il colmo del romanticismo, ma non ho scelta. Troppi scrupoli, anni di differenza e il fatto di lavorare insieme impongono un comportamento corretto al limite del suicidio sentimentale. In fondo Anna ha meno anni di mia figlia e in una situazione del genere non c’è modo di comportarsi bene, di uscirne bene, e così credo di aver scelto l’unica via possibile. Gli scrupoli, maledetti scrupoli. A che serve una coscienza se è sempre una fregatura? Sono certo che Anna mi piaccia da morire, da mesi non penso ad altro. Per ridere la chiamo “principessina” perché non dice mai “grazie”, tutto le è dovuto per la sua capacità di affrontare tutto, anche la sua timidezza, in modo diretto e, allo stesso tempo, con dolcezza. Sono certo di non aver mai incontrato in vita mia una come lei. Ma quello che mi pesa sono i dubbi sull’opportunità di questa passione imbarazzante. Cosa posso darle? Come potrei non trasformarla in una vittima? Neppure sono un bel uomo. Ho il doppio dei suoi anni e nemmeno sono ricco. Insomma al mio arco non ho che le frecce dei miei sentimenti. Che strazio, roba da adolescenti. Consapevolezza penosa alla mia età. Eppure eccomi qui a bussare alla sua porta per il semplice fatto che, scrupoli o no, non posso farne a meno. Certo io non ho fatto nulla per cercare di sedurla, la mia condizione non me lo permette. Allo stesso tempo non ho mai usato trucchetti facili facili per uno come me che, se non altro per anzianità, ha la possibilità di mettere in campo il proprio potere nel lavoro. Certo lo so, le donne ragionano diversamente da noi uomini. Sarebbe semplice metterla in una condizione di sudditanza psicologica. Le donne, in genere, di fronte a qualcuno che non le tratta bene, prima di scontrarsi si domandano: “Perché mi tratta così? Cosa posso fare per migliorare i rapporti?”. Uno stadio in cui se tu fai il marpione e giochi bene le tue carte, puoi aprire molte porte. Ma non fa per me, la situazione mi impone di mettermi nelle sue mani contando sulla sua maturità. Deve essere lei a decidere. Intenzioni sagge e misurate, le mie. Purtroppo mentre le mie azioni e le mie parole sono abbastanza contenute la mia testa è altrove. Continuo a parlare e nel frattempo il film dei miei desideri, nella mia testa, ha lo stesso audio ma immagini diverse dalla realtà. Vorrei spingerla contro un muro, stringerla e baciarla e stringerla ancora e baciarla di nuovo, non sono padrone delle mie emozioni. Invece, da gentiluomo, me ne sto qui, pacificamente seduto, immobile, a desiderare di saltare le tagliatelle e tuffarmi nei suoi occhi azzurrissimi, sempre spalancati e senza ombre dietro le lenti, mentre parlo con il cervello collegato alle immagini che mi frullano in testa. Anna sorride felice. Anzi no ride.

ATTO SECONDO: NULLA SARA' PIU' COME PRIMA

I suoi occhi sono come sempre bellissimi e lucenti. Ma non ridono. “No, mi dispiace, per me non è la stessa cosa. Io non pensavo…”. Un attimo di silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri, valutando la portata di quel disastro. Ora tutto è improvvisamente immobile. Anche il mio cervello che, per la verità, vorrebbe essere mille miglia lontano. Quanto tempo sta passando? Secondi o minuti? Non lo so. Il silenzio sta diventando denso come la panna. Capisco che per Anna quest’immobilità è arrivata a un punto di svolta. Da qui in poi tutto apparterrà a un prima e a un dopo. Niente sarà più come prima. “ E adesso che si fa?” La voce di Anna mi colpisce come un secchio d’acqua gelata gettata in faccia a un pugile suonato, messo al tappeto e costretto a svegliarsi per assaporare meglio il gusto dell’umiliazione. Il tono fa ancora più male, è di sfida: “Devo cambiare lavoro?”. “Senta un po’ – decido di darle di nuovo del lei cercando invano di mantenere un tono disteso e un minimo di dignità - ho delle domande: non può non essersi accorta che le facevo la corte. Era talmente evidente che se ne sono accorti tutti”. Si, in effetti Anna se ne era accorta, ma mi aveva lasciato fare forse per passività, per convenienza, magari solo per vanità o perché era lusingata da quelle attenzioni. Forse solo per timidezza. E’ la cosa peggiore che potessi aspettarmi, data la situazione. Avrei preferito che mi avesse detto di essere innamorata di un altro, di essere felicemente impegnata, di aver valutato la cosa ed aver deciso che una relazione con un uomo con il doppio dei suoi anni la spaventa, la mette in imbarazzo o le fa orrore . Avrei voluto che mi concedesse quel tanto di considerazione da darmi semplicemente una spiegazione. Invece no. L'unica cosa che mi ha detto è stata che evidentemente ho frainteso... Mi sento un perfetto imbecille e improvvisamente Anna mi pare diversa. Considero il cambiamento ma onestamente cerco di immaginare come può vedermi lei, a questo punto. Vecchio, grasso, goffo e anche un po’ sfigato. Una persona sgradevole. Chissà che non senta anche un vago moto di ribrezzo. Lei non dice nulla e per lei ora sono “altro” come può esserlo un marziano. Il mio romanticismo malato è svanito e mi piacerebbe che lei non fosse più la donna speciale di cinque minuti fa. Cerco di convincermi di non aver preso un abbaglio e che davanti a me ci sia solo una ragazzina viziata e insicura che ha seminato per mesi segnali di seduzione solo per costruire un rapporto di lavoro migliore, per gratificare una semplice alleanza tra colleghi. Vorrei non averla mai incontrata. Adesso non potremmo essere più distanti e tra i due piatti di tagliatelle si sta alzando un muro. Certo Anna è sempre bellissima, ma non sembra la stessa persona. “ Non posso essermi sbagliato. Alla mia età certi segnali ho imparato a interpretarli”. Anna scuote la testa sorridendo “ Io sono così, è solo il mio modo di fare, lei non sa come sono io con i miei amici”. “Bel modo di fare - penso e non dico - ma te l’hanno dato il porto d’armi per comportarti così?”. “E adesso che si fa? - insiste”. Ora è tutto chiaro. Vorrei alzarmi e andarmene prima di sentirle dire “ Ma possiamo rimanere amici”. Meglio anticiparla, troppa banalità in un colpo solo, non posso farcela a reggere un colpo così. Certo che mi piacerebbe che restassimo amici ma già so di non essere in grado di gestire una situazione del genere. Qualcuno dovrebbe spiegarle che non si può giocare con uno come me, ma non sarò io. Sento la mia voce come se non mi appartenesse e mi vedo come se fossi al di fuori di me: “ Ma non è successo niente, quindi continuiamo a darci del Lei. Siamo adulti e continuiamo a lavorare. Se la cosa diventerà un problema casomai cambio lavoro io”. Mi ascolto ma non è quello che penso: so già che devo cercarmi un altro posto. Dio come mi sembra diversa ora. Ma anche io mi sento diverso e cerco ancora di vedermi con gli occhi di lei. Mi studia e probabilmente si sta domandando cosa c’è nella mia testa. Probabilmente si sta domandando cosa voglio da lei. So cosa pensano le ragazze degli uomini maturi che si interessano a loro. Che orrore, e che errore. In questo momento so di non volerla avere vicino ma, allo stesso tempo, non riesco più a immaginare le mie giornate senza di lei. Il pranzo è finito, “ Signori dobbiamo chiudere, posso portare il conto?”. Già il conto, prima o poi arriva sempre, servito su un piattino d’argento. E’ il momento di pagare: scusi, quanto costa una illusione? Anna è colpita, non lo dice ma vorrebbe che l’accompagnassi per un tratto, fino alla bicicletta. Ma per me è troppo, la proposta di amicizia è ancora in agguato e so che il rifiutarla la farà incazzare da morire. “ Allora a domani, buona giornata”, mi giro e me vado al diavolo. Sono furioso con me stesso e con la vita. Non è facile accettare la consapevolezza di essere una persona sgradevole. Anche se quasi certamente è vero. Forse non sono selettivo come credo, forse sono nient’altro che un cinquantenne solo o forse con l’età mi sono rimbecillito. C’è il sole, fa caldo, sarebbe bello che piovesse e facesse un po’ freddo, potrei stringermi nell’impermeabile guardando il cielo e sperando che smetta di piovere. Cammino senza una meta precisa cercando di non sentirmi patetico. Non voglio soffrire. Non voglio darle questo potere, non se lo merita. Voglio solo camminare finché non arrivo in qualche posto in cui la vita mi sembri un po’ più leggera. Non dovrebbe essere difficile, in fondo se la vita è sgradevole, uno come me, ovunque dovrebbe sentirsi a casa. Cazzo, ho finito le sigarette.

ATTO TERZO: UN VECCHIO MANIACO

E’ passato solo qualche giorno. Una lite col capo e le dimissioni. Non mi ci è voluto molto a provocare ad arte la situazione giusta e ormai è cosa è fatta, sono fuori. Me ne sono andato sbattendo la porta. Mi sarei aspettato da Anna una telefonata ma lei non chiama. Anzi mi fa sapere di non voler avere più alcun contatto, neppure per Sms o tramite email. Insomma mi tratta come una specie di maniaco senza che abbia fatto nulla per meritarlo. Non c’è più alcuna traccia della allegria e della vecchia complicità. Non ho diritto nemmeno a un po’ di rispetto o di considerazione. E’ straordinario come possano cambiare le cose tanto rapidamente ed è straordinario come ci si possa sbagliare tanto su una persona, nonostante l’esperienza.
Così, anche senza una meta, non trovo pace. Senza accorgermene guido fino al mare. Ho bisogno di pensare ma ho la testa vuota. Ormai si sta facendo buio e cerco di concentrarmi sul tramonto per comprendere con lo sguardo tutto quanto avviene davanti a me, nel tentativo di non sentire cosa sta accadendo dentro di me. Il vento, teso ma leggero, è lì a ricordarmi che l’estate è finita. Un soffio che mi riempie le orecchie di un silenzio rumoroso, agita l’aria, mi scompiglia i capelli e l’anima. Non che la mia anima abbia bisogno di altre scosse. Mi sento talmente sottosopra che anche una piccola emozione ora mi pare eccessiva. Sono stanco, stufo di combattere, di inseguire sogni troppo lontani per essere raggiunti, di elencarmi ogni mattina tutti i miei sbagli. Una pessima abitudine che di certo non dipende da Anna. Non ho tempo per altri sbagli e non trovo l’ironia che vorrei per rappresentarmi questa situazione. Così cerco di annullarmi, di misurare il vuoto. Per un attimo riesco a distrarmi, giocando con l’orizzonte, lo sguardo perso, i pensieri in disordine, nella profonda e soffice consolazione di una nuova illusione. Non riesco a pensare al futuro, forse perché penso di non averne uno ed anche se ne avessi, di futuro, sarebbe di un giorno soltanto. Ecco, l’osservare questa immobile distesa d’acqua mi da quella sensazione di leggerezza che sono venuto a cercare. Una tregua nell’esistenza, una breccia nel tempo. Cerco di restare immobile, di fermare il respiro, considerando quest’attimo come un privilegio. La testa piena di vento, resisto alla tentazione di sospirare sperando di non spezzare quest’incantesimo che mi permette di tenere in bilico quello che sento. Resisto, finché l’avanzare dell’emozione diventa tanto concreta e sconvolgente da essere insopportabile.
Accendo una sigaretta e guardo il fumo dissolversi nell’aria che odora di sale e della resina dei pini. Vorrei che tutta questa concentrazione di emozioni potesse rendermi leggero, sollevarmi da terra, farmi galleggiare e poi, improvvisamente, affondare, lentamente, nell’acqua. Il vento straccia il fumo della mia sigaretta disperdendolo e fa brillare la brace come un occhio maligno. Fisso la sigaretta che si consuma cercando di concentrarmi per ricacciare indietro questa strana sensazione, per spezzare questa strana e gelida intensità.
Il mare davanti a me sta lentamente scomparendo inghiottito dal buio e solo piccole luci lontane segnano il confine tra il cielo e il mare. E io? Quando ho superato quel confine da cui mi pare di non poter più tornare indietro? Credo sia stato quando, leggera, Anna aveva cinguettato, senza guardarmi negli occhi, ma tenendomi sotto controllo con lo sguardo, “ma com’è che noi due facciamo sempre tutto insieme? Ci sarà una ragione”. Non posso impedirmi di sorridere al ricordo di questa piccola intensa felicità che ora mi rende ancor più doloroso il presente, spezzando l’incantesimo.
Tutto è tornato come prima. Il vento mi scompiglia ancora i capelli e non riesco ad annientare quello stupido ricordo giocando con l’orizzonte. Mi sento patetico, infantile, e mi chiedo come farò a rialzarmi da tutto questo. Sto qui a interrogarmi cercando di esorcizzare le mie illusioni, la mia evidente fragilità, la mia onesta goffaggine e la mia assurda incapacità, a questo punto della vita, di gestire razionalmente i sentimenti e le emozioni. E' troppo. Ma come fa un uomo a rialzarsi sentendo questo limite sulle sue spalle? Questo peso è la prova che la mia anima è ormai, e solo, una appiccicosa appendice? La fragilità è l'antitesi del potere e di sicuro è la prova dei miei limiti. Ho sempre creduto che l'amore fosse comunque una fabbrica di potere interiore e, ciononostante, sto sperimentando tutta la mia debolezza.
Cerco di consolarmi pensando ai miei sentimenti come qualcosa di prezioso, di limpido, nonostante la sgradevole sensazione e la pena che l’ingiustificato atteggiamento di Anna mi procura. Devo convincermi che la fragilità non è debolezza, è un piedistallo su cui costruire. Fragile sì, fragilissimo ma proprio per questo prezioso come un cristallo. Qualcosa di grande valore per cui al momento, però, non riesco a non disprezzarmi. Chiaro, questa storia che mi sta bruciando è senza senso. E’ talmente assurda da essere impresentabile, tanto per me quanto per lei. Eppure è una sofferenza. Molto umana, certo, ma assolutamente, cocciutamente, in contrasto con il raziocinio. Non c’è proporzione tra costi e benefici e mi rendo conto di essere al di là dell'utile, del buon senso, del vantaggioso, persino dell'umile coerenza dell’ipotizzabile. Come ho potuto? Vivo una irrazionale ma cosciente insensatezza. E domani? Potrò riflettere sulla libertà della giovinezza, sulla potenza del sogno e guardarmi comunque serenamente allo specchio sentendomi il reduce di una guerra mai combattuta ? Oppure potrò pensare a quanto sono complicato, a quanto il mondo e la meschinità intorno a me non mi appartengano, a quanto mi senta lontano dalla vita, estraneo, diverso, sbagliato. E’ una brutta china, lo so bene, ho letto Dostoevskij: “Sono solo, e loro invece sono tutti”. Banalmente il senso della mia condizione mi è chiaro: nessuno ama la fragilità dell'altro e io non sopporto neppure la mia: un piccolo dramma a cui prima o poi dovrò dare delle risposte.
Adesso un gabbiano, incurante del buio, vola sul mare, seguendo una rotta circolare, una spirale ascendente sempre più ampia. Gesù, lei ha 26 anni e non può capire. E’ mio l’errore di aver contato sulla sua maturità. E’ mio l’errore di essermi rifugiato in una storia al di fuori della realtà, di essermi raccontato una favola e averci creduto. Questo gabbiano mi sembra l’Albatro di Baudelaire. Un genio del volo dalle ali enormi, tanto grandi da farne il re dei cieli, da farlo volare più alto di tutti, tanto da poter guardare il mondo da una prospettiva privilegiata e diversa da quella riservata a coloro che hanno i piedi ben piantati per terra. Ali talmente grandi da impedirgli di camminare come tutti gli altri. Tutti lo vedono goffo, impacciato e quasi mostruoso per quella sua deformità. Il re dell’aria, una volta a terra, è un buffo pagliaccio. Bella immagine, ma io non sono quell’albatro e non ho mai imparato a volare. A Anna non ho mai chiesto nulla. Non l’ho mai toccata. Non ho mai invaso il suo spazio o fatto battute allusive o a sfondo sessuale. Ciò nonostante mi tratta e mi considera come una specie di maniaco da cui fuggire il più lontano possibile. Non sono triste perché sono stato rifiutato. Non è strano. Sono triste, mortalmente triste, per come e quanto è stata umiliata la mia umanità. Ripenso al gabbiano e al cristallo. Ogni atterraggio è una occasione buona per mandarlo in frantumi.
E’ ora di andare a casa.

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